È uscita da pochi giorni la pubblicazione della Professoressa Maria Teresa Mazzilli Savini sul monastero di San Salvatore, prezioso risultato di molti anni di studi scientifici e rigorosa ricerca storiografica oltreché concreta testimonianza della grande passione e dedizione della studiosa per la storia dell’architettura dei più importanti complessi monastici pavesi. Fra i molteplici contributi che vi figurano, c’è anche un breve intervento di chi scrive con un’ipotesi d’interpretazione iconografica di un dipinto fra quelli appartenenti al ciclo di scuola lombarda del XVII secolo con miracoli operati dai santi Benedetto e Mauro, il cui restauro è stato affidato allo Studio Maffeis.
La tela oggetto del mio scritto (cui si rimanda per notazioni argomentate più approfonditamente) raffigura il cosiddetto Miracolo della roncola che secondo l’agiografia di san Benedetto dovette accadere nei pressi del cenobio di Subiaco e che è così riportato nei Dialoghi di Gregorio Magno (II, 1): “Si era presentato a chiedere l’abito monastico un Goto. Era un povero uomo di scarsissima intelligenza, ma il “servo di Dio”, Benedetto, lo aveva accolto con particolare benevolenza. Un giorno il santo gli fece dare un arnese di ferro che per la somiglianza ad una falce viene chiamato falcastro, perché liberasse dai rovi un pezzo di terra che intendeva poi coltivare ad orto. Il terreno che il Goto si accinse immediatamente a sgomberare si stendeva proprio sopra la ripa del lago. Quello lavorava vigorosamente, tagliando con tutte le forze cespugli densissimi di rovi, quando ad un tratto il ferro sfuggì via dal manico e andò a piombare nel lago, proprio in un punto dove l’acqua era così profonda da non lasciare alcuna speranza di poterlo ripescare. Tutto tremante per la perdita dell’utensile, il Goto corse dal monaco Mauro, gli rivelò il danno che aveva fatto e chiese di essere punito per questa colpa. Mauro ebbe premura di far conoscere l’incidente al “servo di Dio” e Benedetto si recò immediatamente sul posto, tolse dalle mani del Goto il manico e lo immerse nelle acque. Sull’istante il ferro dal profondo del lago ritornò a galla e da se stesso si andò ad innestare nel manico. Rimise quindi lo strumento nelle mani del Goto, dicendogli: «Ecco qui, seguita pure il tuo lavoro e stattene contento!».”
A seguito dell’operazione di pulitura del dipinto è curiosamente emersa quella che sembrerebbe essere una ambientazione pavese del miracolo, con l'antica chiesa di S. Salvatore sullo sfondo, proprio alle spalle di san Benedetto che, anziano e barbato, è rappresentato nell’atto di levare la mano da cui si irradia una luce miracolosa. Il punto di vista della raffigurazione è da Nord. Il corpo massiccio e merlato che occupa la metà sinistra del paesaggio potrebbe corrispondere al bastione di Borgoratto, parte della poderosa cerchia muraria eretta fra 1557 e 1560 dagli Spagnoli, che si innalzava sull’odierna Piazza della Minerva (di cui rimane memoria in diverse stampe antiche della città). Lungo quest’asse prospettico, le colline retrostanti, fantasticamente ravvicinate, indicherebbero l’Oltrepò. Alcuni elementi della raffigurazione della chiesa trovano corrispondenza con l’attuale architettura, come il rosone centrale sulla facciata e il corpo sinistro del transetto; mentre siamo soliti riconoscere la cinta muraria che racchiude il monastero per averla più volte vista riprodotta nel dettaglio con S. Salvatore di una stampa del Ballada. Ma è soprattutto il lago davanti alla chiesa a ritrarre un’abbondanza d’acqua storicamente comprovata in quell’area che comprendeva prati asciutti e “che s’adacuano”. Il punto di vista di sott’insù corrisponde grossomodo all’odierna vista della chiesa e dell’ex Caserma Rossani da Via del Torchietto e il ponte rappresentato potrebbe essere l’antico ponte di pietra da cui il rione cittadino prende nome. L’acqua è quella del Navigliaccio detto in Pavia Naviglio Vecchio che attraversa ancora oggi il quartiere Ponte di Pietra, tra Via Aselli e Via Brichetti scorrendo tra le abitazioni verso il quartiere di Via Lomonaco e Via Riviera. Un tempo nei pressi di Via Riviera originava la Roggia Folla, importante corso d'acqua che alimentava un gran numero di folle da panni e laboratori artigianali tessili e, fino alla fine del ‘700, l’importante stamperia del monastero di S. Salvatore. Il Navigliaccio infine sottoattraversa la Via Riviera, entrando nel fabbricato dell'ex arsenale militare di Pavia attraversandone l'intera area per poi sfociare nel Fiume Ticino al ponte della ferrovia. Certo è che le corrispondenze fra le diverse zone cittadine sono oggi difficili da visualizzare a causa dell’interruzione degli assi viari e dell’affastellamento degli interventi edilizi, ma pur nell’approssimazione di una prospettiva intuitiva, gli elementi del ponte, della chiesa e del bastione difensivo emersi nel fondale del dipinto a seguito del recente restauro non possono non porre interrogativi sul possibile recupero di una nuova immagine di S. Salvatore.
Caterina Maffeis, Pavia, 14 marzo 2014